- Home
- ¡Que viva Mexico!
- Calaveras - Teschi Messicani
Calaveras - Teschi Messicani
- Sirene
- Gli Indiani Huicholes
- Arbol de Vida / Arbol de Muerte
- Frida Kahlo & Diego Rivera
- Calaveras - Teschi Messicani
- Diablos y Diablitos
- Maschere Messicane
- Gioielli con ambra messicana
- Plata Matl
La calavera messicana è certamente una delle figure più singolari e allo stesso tempo più diffuse e peculiari della cultura popolare messicana. Le sue origini sono da ricercare in un ideale incontro fra la Morte pre-ispanica e le “danze macabre” dell'Europa medievale, un incontro che attraverso il genio di Josè Guadalupe Posada, inconsapevole artista del XIX secolo, dà vita ad una rappresentazione della morte totalmente nuova, una morte dal volto umano, per niente spaventosa o allusiva alla triste e inevitabile fine ma assolutamente vitale e spiritosa. Viva Posada!
Perchè la calavera è diventato un così forte simbolo del Messico? E come e quando questo è accaduto? E ancora, è un fenomeno che coinvolge l'intera popolazione allo stesso modo? Non esiste una risposta unica e totalmente chiarificatrice a queste domande ma si possono fare delle ipotesi guardando alla sua storia. Intanto è utile separare le varie concezioni, manifestazioni, credenze (tutte molto messicane) legate al tema della morte, anche se presentano dei punti di contatto. Possiamo facilmente individuare tre distinti territori da investigare: la calavera identitaria, el Dìa de Muertos e la Santa Muerte.
La calavera identitaria è quella che comprende le innumerevoli rappresentazioni della morte che incontriamo quasi ovunque in Messico. La sua data di nascita è incerta e vari sono i suoi genitori. Possiamo più o meno darle 150 anni di vita e cercare le sue radici nelle condizioni sociopolitiche di un popolo/nazione non omogeneo, anzi estremamente variegato, e tuttavia alla ricerca di una identità che lo accomuni e allo stesso tempo lo renda unico. Quello che possiamo affermare senza ombra di dubbio è che Josè Guadalupe Posada è il "genitore" fondamentale della calavera che conosciamo oggi. Nato nel 1851, Posada vive in un Messico che ha appena perso metà del suo territorio ad opera dei nordamericani ed è alle prese con la dittatura di Porfirio Diaz, con il suo ideale estetico neoclassicheggiante che occhieggia all' Europa, sicuramente non indigeno. Lavora tutta la vita come incisore per quotidiani, sempre di opposizione, periodici, illustratore per libri, manifesti di corride, teatro, cartoline, ecc. Non si considera un artista, non cerca di avvicinarsi al popolo. Posada è il popolo e insieme agli autori di quei libri, articoli, "corridos" e ai tipografi che stampano il tutto, possiede la fantasia, l'immaginazione, il genio capace di dar forma a quello che essi sono, il popolo messicano appunto. Ecco allora le illustrazioni satiriche, la critica sociale che esprime il ri-sentimento popolare verso la classe dirigente, prepotente e corrotta. Ma la grande eredità che Posada lascia al Messico e a tutti noi, è sicuramente il suo lavoro con le calaveras. Già piuttosto diffuse in Messico prima di lui, con la sua opera le calaveras diventano un vero totem nazionale. Le calaveras di Posada non sono solo critica e satira ma anche e soprattutto un inno alla vita, alla festa, pura gioia di vivere; la simpatia e la tenerezza con cui sono trattate in Messico fanno sì che perdano quel carattere tragico e funereo che normalmente le contraddistingue e tutto ciò apre le porte ad una nuova consapevolezza liberatrice. Davanti all'assurdità della morte non c'è posto per la tragedia; solo la capacità di trasformare la sua ineludibiltà in qualcosa di normalmente quotidiano può cambiare le carte in tavola. Tutto questo non poteva certo lasciare indifferente un popolo che ha sempre pensato di avere una relazione particolare con la morte: consideriamo i suoi genitori più lontani, gli Azteca, che consideravano la morte come un passaggio positivo verso una condizione migliore, praticavano rituali con sacrifici umani, anche volontari, veneravano Coatlicue, dea della terra e della vita, che indossava una maschera della morte, ornavano i loro templi con sculture a forma di teschi che simboleggiavano saggezza; e quelli più recenti, quegli spagnoli che si erano imposti con le loro armi micidiali e che, in nome del loro dio, avevano torturato e ucciso migliaia di indigeni e in seguito avevano introdotto, con le varie immagini religiose, gli scheletri delle "danze macabre" medievali. A queste radici più o meno antiche, all'inizio del XX secolo si aggiunge il cataclisma della Rivoluzione Messicana, con nuove migliaia di morti in entrambi gli schieramenti ma soprattutto con una volontà di cambiamento, di riappropriarsi di una nazione/identità mai sentita come propria. Siamo nella prima decade del XX secolo che coincide con gli ultimi anni di vita di Posada e con la produzione delle sue famose calaveras. E' su queste basi culturali, fatte di simboli, ricordi, rituali, che si va formando una identità nazionale nuova, sulla spinta di una rivoluzione che, seppur non risolutiva per quel che riguarda le aspettative più importanti, come la ridistribuzione della terra, tuttavia cambia per sempre il paese.
Per quanto riguarda "el Dìa de Muertos" e le usanze legate a questo giorno, bisogna anzitutto distinguere l'ambito in cui si celebra questa ricorrenza. Le usanze variano da regione a regione ma, anche all'interno di una stessa regione, c'è un'enorme differenza fra un ambito rurale e uno urbano. Lontano dalle città si è conservato un approccio tradizionale, dove il dolore e il ricordo del defunto, il raccoglimento e la preghiera, la stessa offerta di cibo e bevande, si manifestano in un modo "spiritualmente corretto". Al contrario, nelle città si è assistito ad un cambiamento che comincia anch'esso nell'ultima decade del XIX secolo. E' un periodo particolare della storia del Messico, molto tumultuoso, c'è voglia di rinnovamento, di creare una nuova identità messicana, e questo giorno appare ai più come un retaggio culturale arcaico, un lascito ingombrante di quella dominazione cattolico-spagnola da ridimensionare a favore di un'impronta più autoctona. La rivoluzione gioca sicuramente un ruolo importante in questo processo e, a partire da quegli anni, questo giorno, nelle città, andrà sempre più perdendo il suo carattere rituale/spirituale per diventare una vera e propria festa secolare, piena di colori, suoni e allegria. Riguardo agli oggetti usati per adornare gli "altar de muertos", i famosi "alfenique", teschi e tombe di zucchero, o il "pan de muerto" (dolci a forma di ossa, presenti anche in Sicilia, chissà come..), o ancora i fogli di "papal picado" con le incisioni di immagini a tema, anche qui ci sono delle differenze a seconda dei luoghi. Innanzi tutto è interessante notare come l'uso degli "alfenique" sia molto antico, precedente il fiorire delle calaveras, sicuramente già presente nella metà de '700, sempre in ambito urbano. Anche oggi non è facile trovarli fuori dalle città, mentre il pan de muerto e il papel picado sembrano essere più diffusi sul territorio. Una curiosità: i principali destinatari degli alfenique sono i bambini, che li divorano allegramente senza problema e i teschi portano in fronte il nome di chi li riceve!
E veniamo a La Santa Muerte. E' un culto molto diffuso in Messico e nel resto dell'America Latina. Le sue origini sono incerte, si parla di un culto diffuso tra i minatori di Zacatecas in epoca coloniale, di uno sciamano del Veracruz a cui sia apparsa alla fine del XIX secolo promettendo protezione al popolo messicano che non l'avrebbe mai dimenticata. Alcuni studiosi pensano che abbia origini africane e la relazionano con alcune divinità orisha della Santeria cubana, altri addirittura la identificano con Santa Marta, forse per l'assonanza con Santa Muerte,o con la Vergine del Carmine. In Argentina c'è un corrispettivo maschile, San La Muerte, dall'immagine simile. Di sicuro ci sono dei precedenti, risalenti alle civiltà preispaniche: Mictecacìhuatl e Mictlantecuhtli erano le dee della morte, governavano il Mictlàn, dove andavano tutte le anime dei morti, e la dea della madre terra, Coatlicue, che portava una maschera a forma di teschio umano.
La Santa Muerte, iconograficamente, è vestita con una tunica bianca, a simboleggiarne la purezza, che la ricopre totalmente lasciando scoperto il volto, parte del collo, la mani e i piedi. Impugna una falce con la quale taglia le vite, con equità e armonia. Può tenere il mondo in una mano o esserci seduta sopra a rappresentare il suo potere su tutta la terra. A volte ha una bilancia, simbolo di giustizia ed equità, altre è raffigurata con una lampada e una clessidra dall'ovvio significato. Il colore della tunica può essere differente a seconda della richiesta che le si rivolge. Colui che sceglie di adorare la Santa Muerte deve allestire in casa un altare con una sua immagine in tunica bianca. Questa immagine dovrebbe essere preperata o "curata" da un "sacerdote", collocata in un posto adeguato e dotata di varie "ofrendas": una candela o altro tipo di luce, un bicchiere d'acqua, incenso, possibilmente di copal, fiori bianchi, e poi a piacere liquore, pane, una sigaretta, frutta, profumo e, se si tratta di un posto di lavoro, soldi. A Lei si chiedono favori per se stessi o per altre persone attraverso vari rituali e preghiere specifiche, usando però un'immagine diversa da quella dell'altare. In giro per Il Messico ci sono vari luoghi a Lei consacrati e vegliati da guardiani. Negli ultimi anni il culto della Santa Muerte ha avuto un forte impulso e un paio d'anni fa i suoi devoti hanno sfilato a Città del Messico per chiedere il riconoscimento ufficiale di religione, al pari di tutte le altre Sante. Curiosità: pare sia molto diffusa tra poliziotti e narcotrafficanti, forse una prova della sua equità.